Il ratto d’Europa, l’infinita suggestione del mito.
Europa è il nome più antico dei cinque continenti. Ma da dove arriva questo nome e chi era Europa? Vediamo come tutto è cominciato. All’inizio era il mito.
Sulla spiaggia di Sidone, un toro bianco tentava di imitare un gorgheggio amoroso. Era Zeus. Eros gli stava mettendo sulla groppa la fanciulla Europa. Poi la bestia si gettava in acqua, il suo corpo imponente ne emergeva abbastanza perché la fanciulla non si bagnasse. Lo videro in molti. Tritone, con la sua conchiglia sonora rispose al verso nuziale. Europa, tremante, si teneva aggrappata a uno dei lunghi corni del toro. Li vide anche Borea, mentre fendevano le acque. Malizioso e geloso, fischiò alla vista di quei seni acerbi che il suo soffio scopriva. Atena arrossì spiando dall’alto il padre cavalcato da una donna. Europa intanto non riusciva a vedere la fine di quella folle navigazione, ma immaginava la sua sorte. E così gridò un messaggio ai venti e alle acque: «Dite a mio padre che Europa ha lasciato la sua terra in groppa a un toro. Date a mia madre questa collana!».
Uno strano sogno.
Europa, verso l’alba, dormendo nella sua stanza del palazzo reale, aveva fatto uno strano sogno: due Terre, che avevano assunto l’aspetto di donne, si disputavano la sua persona. Una, la Terra d’Asia, voleva tenerla presso di sé, l’altra, la Terra della sponda opposta, voleva portarla via sul mare, per ordine di Zeus. Il sogno era nettissimo, come una scena reale. Europa si svegliò spaventata e rimase a lungo seduta sul letto, in silenzio. Poi chiamò le sue amiche e insieme uscirono per cogliere fiori. Arrivate alla foce del fiume, tra le rose e lo scrosciare delle onde, Europa si aggirava gioiosa con il suo canestro d’oro. Un canestro bellissimo che Efesto aveva foggiato molti anni prima che lei nascesse. Era una sorta di patrimonio femminile della sua famiglia, infatti era appartenuto alla nonna Libia, poi a sua madre Telefassa che lo aveva donato a lei. Era il talismano della stirpe. Sul canestro, sbalzata in oro, vi si riconosceva una giovenca errante che sembrava nuotare in un mare di smalto. Quella giovenca era Io, trisavola di Europa. Anche la sua era stata una storia di rapimento e metamorfosi. L’amore di Zeus le aveva imposto un disperato vagabondaggio attraverso i mari. A uno di essi, verso l’Italia aveva perfino donato il suo nome: Ionio. Un giorno, approdata in Egitto, Zeus sfiorò con la sua mano la giovenca e lei ridiventò fanciulla e si congiunse col dio. Da quella unione nacque Èpafo che in seguito divenne re d’Egitto e che poi sposò Menfi, con la quale ebbe Libia. Sì proprio quella Libia che sarebbe diventata la nonna di Europa. Libia infatti era la madre di Agenore, re di Tiro, padre di Europa e marito di Telefassa.
Ma vediamo come tutto è cominciato. All’inizio era il mito.
Un gruppo di ragazze gioca lungo il fiume, raccogliendo fiori. A un tratto si vedono accerchiare da un branco di tori. Tra questi ve n’è uno di un bianco abbagliante, con piccola corna, che sembrano gemme lucenti e un’espressione priva di minaccia, tanto che Europa, timida all’inizio, non ha paura di avvicinare i fiori che ha raccolto a quel muso candido. Come un cagnolino, il toro inizia a gemere di piacere, a rovesciarsi sull’erba, offrendo le sue piccola corna alle profumate ghirlande. La principessa, impressionata da quella insolita mansuetudine si adagia sul suo dorso senza sapere ancora su chi siede. Il toro, allora, balza verso il mare. La fuga è repentina, Europa terrorizzata si volge a guardare le amiche sulla riva, ormai lontana. Per non cadere, afferra con la mano destra un corno, mentre con la sinistra cinge la groppa, e il vento impetuoso le gonfia le belle vesti.
Europa, dolce fanciulla fenicia dai grandi occhi, il tuo ratto rappresenta il valore di una donna che spostandosi da Oriente a Occidente ha saputo unire le tradizioni di più popoli. Il tuo viaggio improvviso ha spinto tuo fratello Cadmo a venirti a cercare e non trovandoti ha lasciato nel suo girovagare per la Grecia dei doni speciali: vocali e consonanti aggiogate in un elenco di segni minuscoli chiamato alfabeto. Quell’alfabeto che avrebbe dato origine alle matrici linguistiche e culturali dell’Europa moderna.
Come scrisse un antico queste cose non avvennero mai, ma sono sempre, perché le storie non vivono mai solitarie ma sono accompagnate da altre storie che si intersecano con altre storie. E benché sia sempre rischioso leggere i miti classici con le categorie offerte dal tempo presente, cosa ci dice oggi il mito d’Europa oltre alle interpretazioni pittoriche di Tiepolo, Tiziano, Veronese o Rembrandt? Ci dice che il nostro continente prende il nome da una libanese (la Fenicia di allora corrisponde all’odierno Libano), da una fanciulla dell’Oriente rifugiata in un terra d’Occidente. Europa, strappata contro la sua volontà e in modo violento dalla sua patria, ottiene asilo in una nuova terra dove riesce a ricostruirsi un futuro, diventando regina di Creta. Il suo mito celebra l’incontro interculturale tra la civiltà fenicia e quella greca che fino ad allora rappresentavano mondi distanti e incomunicabili. Il suo mito ci ricorda che quella stessa terra (l’occidente) che un tempo accoglieva i rifugiati o i richiedenti asilo come lei, oggi chiude le sue frontiere a coloro che fuggono dalla povertà, dalla guerra, dalle persecuzioni. Questo mito, insieme ad altri come quello del troiano (e quindi turco) Enea, che fugge dalla guerra e dalla sua città natale in fiamme e sbarca come profugo sulle coste laziali e diviene il capostipite della romanità, questi miti, comunque li si voglia interpretare, ci interpellano rispetto al valore etico della solidarietà e alle sue origini antiche. Il mito di Europa ci ricorda che oggi più che mai è necessaria una prospettiva globale in tema di convivenza civile. Una convivenza orientata alla giustizia sociale e fondata su una prospettiva critica che può e deve trovare un radicamento nelle comunità locali, nei territori, per dare senso ai diversi tipi di conoscenze, competenze, abilità e valori.
Come ha detto Umberto Eco: l’Europa si fonda prima ancora che su ragioni politiche ed economiche sull’unità di cultura. Le ragioni politiche ed economiche per molti secoli hanno permesso agli europei di massacrarsi a vicenda, eppure questo non ha impedito a studiosi italiani di insegnare a Parigi o a studiosi olandesi di insegnare a Bologna. Quando andiamo a sentire i concerti di Mozart e Vivaldi non ci chiediamo se uno è austriaco e l’altro è italiano, quindi la fondamentale unità europea, malgrado le differenze linguistiche, è una profonda identità culturale. È su questa base che bisogna continuare a battersi per ricordare a tutti che l’Europa può essere una cosa sola.
Eὐρώπη, la fanciulla dai grandi occhi! Chissà se l’Europa della Next Generation riuscirà a non chiuderli proprio adesso quegli occhi così grandi, a non abbassare proprio ora quello sguardo che per centinaia e centinaia di secoli ha saputo guardare lontano senza mai perdere di vista quello che di essenziale e vitale ha sempre avuto a portata di mano: la libertà, la pace e la solidarietà.
Buon caffè europeo a tutti voi!