Avrei voluto pubblicare questo mio articolo lunedì 8 marzo, ma ho preferito aspettare che il brusio della solita retorica celebrativa confezionata per la Giornata internazionale della donna si affievolisse per riflettere con voi, senza alcuna distinzione di genere, su qual è il significato profondo di questa giornata. Un rito collettivo ad alto dispendio di magniloquenza e mimose o stimolo a non mollare? Io credo che l’8 marzo sia un giorno di cui c’è ancora bisogno perché la luce sulla condizione femminile in Italia e nel mondo è ancora troppo fioca. Siamo immersi in una cultura lontana dalla parità di genere, lo si vede dai numeri della violenza e della disparità lavorativa, lo si vede nelle domande dei colloqui di lavoro, lo si vede in tutti quei comportamenti malati, come il victim blaming, lo slut shaming, il revenge porn e chi più ne ha più ne metta. Ma quello che mi stupisce è l’indifferenza che copre tutti questi fenomeni, in nome di una presunta “parità”. Basti vedere la conduzione dell’ultimo Festival di Sanremo: un festival che, mai come quest’anno, ha rappresentato la vittoria di una polarizzazione che sta aumentando – e non riducendo – le differenze tra uomo e donna. Per deformazione professionale, i meccanismi pragmatici della lingua italiana mi sono familiari e sentire ancora aggettivi come “bellissima”, “intelligente”, “talentuosa”, riservate dai due maschi italici presentatori alle ospiti soprammobile, mi fa capire che la sottile linea d’ombra non sia stata ancora oltrepassata, è sempre presente, sebbene mai visibile. È davvero necessario sottolineare che una donna sia bellissima, bravissima e talentuosa? Perché, ancora oggi, l’immagine delle donne in TV è solo bellezza, come se non avessero altre capacità derivanti dai loro meriti? A mio modesto avviso, questo modo di presentare le donne non fa che potenziare quel modello che è il brodo di coltura della violenza di genere. E allora diventa inutile fare leggi contro la violenza se poi milioni di persone si trovano ad assistere ad una rappresentazione della donna che è puro corpo, da omaggiare, toccare, violare.
Insomma, mai come quest’anno è necessario fermarsi a ripensare a questo stato di cose e a cercare di opporsi con determinazione al sessismo, al machismo, alle diseguaglianze che ancora invadono e pervadono la cultura collettiva. I dati statistici dicono che nell’era della pandemia, la condizione delle donne è peggiorata fino a sfiorare il dramma sociale. Sono circa 47 milioni le donne e le ragazze in tutto il mondo che rischiano di cadere sotto la soglia di povertà. Come certamente saprete, l’anno scorso si è celebrato il 25° anniversario della Dichiarazione di Pechino dell’ONU, a favore dell’emancipazione femminile e del miglioramento della condizione delle donne in tutto il mondo, ma la strada da percorrere per la parità di genere è ancora lunga. Secondo l’Indice sull’uguaglianza di genere 2020 (stilato in base ai dati raccolti nel 2018), curato dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE), l’Unione europea ottiene un punteggio del 67,9% sull’uguaglianza di genere e, mantenendo il ritmo attuale, mancano almeno ancora 60 anni prima di poter raggiungere la completa parità.
E poi, come se non bastasse, c’è l’emergenza sanitaria da Covid 19. I confinamenti, l’impossibilità di mantenere relazioni sociali esterne hanno comportato un aumento dei casi di violenze domestiche. In Italia dall’inizio dell’anno sono state uccise dodici donne per mano di mariti, fidanzati, conviventi. Tanto che l’agenzia delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere ha parlato di “pandemia ombra” per definire l’intensificarsi di abusi fisici o psicologici sulle donne da parte di uomini, siano essi partner, ex partner o parenti. Se davvero vogliamo considerarci una società civile, ognuno di noi deve lavorare per garantire a tutte le donne la capacità di autodeterminarsi, di avere parità di accesso all’istruzione, alle cure mediche, di pretendere un lavoro dignitoso e sicuro e di poter partecipare ai processi decisionali politici ed economici. Non solo perché è un diritto umano fondamentale, ma perché la parità di genere influisce sulla prosperità o meno delle società. Sviluppare e diffondere i talenti femminili disponibili permette maggiore crescita e competitività alle nostre economie. Se dobbiamo dare ancora un senso all’8 marzo, questo andrebbe ritrovato nel significato originario della festa: quello di chiedere a gran voce diritti sociali parità di genere, diritto al lavoro, piena partecipazione politica, assegni di maternità, pensioni alle casalinghe, accesso a tutte le carriere. Senza tutto ciò, cioccolatini, fiori e frasi di circostanza si colorano solo di mestizia.
L’8 marzo deve essere un giorno in più per dire basta alla discriminazione, qualsiasi forma essa assuma, perché ogni volta che la parità non è assicurata si sta facendo una violenza a qualcuno. Quindi, nel nostro piccolo, ognuno di noi può e deve imparare a prestare attenzione al proprio comportamento perché si rischia di generare una violenza subdola, difficilmente riconoscibile, perché mascherata da una presunta normalità.
Da San Paolo di Civitate, buon caffè e buon 8 marzo per tutti i giorni che verranno!