un romanzo scritto dalla nostra inimitabile Ella Grimaldi
“Oh, pugnale benedetto! (Afferrando il pugnale di Romeo) ecco, il tuo fodero è questo: (si colpisce) arrugginisci qui dentro, e fammi morire”.
William Shakespeare
Con l’unità d’Italia e la fine del regno borbonico , con l’ascesa economica e la presa del potere in Italia della borghesia liberale e nazionale, il declino della nobiltà aveva segnato la fine di un mondo e di una cultura secolare, quando nasce l’Italia unita, muore dunque la nobiltà, in senso sociale e in senso etico ed estetico.
Ambientata a San Paolo di Civitate, un paese dell’alto tavoliere situato in terra di Capitanata, nella seconda metà dell’ottocento, la storia d’amore è quella di Antonio, figlio di Vincenzo e Filomena proprietari terrieri e appartenenti alla nuova classe borghese emergente post unitaria che si fregiavano all’epoca del titolo di “ Don”, con la Marchesa Lucia titolata, appartenente alla nobiltà borbonica; la nuova coppia, era l’unione più tipica e vantaggiosa di un presente che voleva guardare al futuro.
I cambiamenti sociali di quel periodo, l’ascesa di una nuova borghesia illuminata, si pongono in contrasto con la vecchia nobiltà borbonica che incarnava e rappresentava ancora i vecchi valori feudali. Ma nonostante i nuovi venti restavano le caste. Ma l’amore non conosce titoli !
Antonio e Lucia
C’era una volta un bellissimo fantino, proprietario terriero e con la passione dei cavalli di nome Antonio. Secondogenito di una famiglia di quattro figli, suo fratello studiò e divenne professore di lettere e filosofia, due sorelle sposarono altrettanti proprietari e vissero agiatamente, lui ereditò la condizione del padre, si occupava di agricoltura.
Bello, spavaldo, dotato di senso dell’umorismo, viveva la condizione di giovane proprietario terriero nella piccola cittadina sul finire del XIX° secolo.
Lucia era una bellissima giovinetta di diciassette anni circa, figlia di un Marchese, una nobile famiglia con tanto di palazzo ornato di stemma e torre, dei veri titolati.
Si dice che la marchesina frequentava i salotti della nobiltà napoletana, era chiaro che per lei la famiglia aspirava ad un avvenire di lustri, ma al cuor non si comanda mai!
Antonio amava i cavalli, ne possedeva la padronanza, li cavalcava con stile, spesso trottava per le viuzze del paese per mettersi in mostra e accattivarsi le occhiatine delle signorine che seminascoste dietro i loro balconcini di ferro battuto ricamavano e sospiravano ogni tanto con sguardo vispo ed intrigante, sbirciavano dalle fessure di una tenda ricamata i passanti e scorgevano l’eventuale spasimante.
Era questa all’epoca la modalità, non c’erano rapporti diretti tra i due sessi ma solo occhiatine, mezzi sorrisi, ed a buon intenditore. Un giorno qualsiasi lo sguardo di Lucia si pose su questo aitante uomo; la giovine probabilmente non considerò la sua condizione di nobildonna, né procrastinò gli intenti, seguì il suo cuore e coraggiosamente se ne innamorò.
Le possibilità di incontrarsi direttamente all’epoca erano scarse ed improbabili, però spesso era attivo un servizio di messaggeria che veniva svolto da persone cosiddette “senzali” :queste svolgevano un’importante ruolo sociale, mediavano i rapporti tra le famiglie, riferivano sugli intenti dei giovani innamorati, riportavano fatti e misfatti, altre volte procacciavano affari. Nel caso specifico fu la domestica di questa famiglia soprannominata la “brigantina”, ( l’appellativo rappresentava bene il soggetto), a tessere le trame di questa storia.
La brigantina tutte le mattine si recava a svolgere servizi per la famiglia del marchese, in tal modo aveva la possibilità di ricevere messaggi dello spasimante Antonio che l’avvicinò un giorno con una scusa e gli confidò i suoi sentimenti per la signorina Lucia. Alla brigantina Antonio piaceva molto e lo dimostra il ruolo rilevante avuto da lei in questa storia d’amore.
Ben presto la famiglia di Lucia venne messa al corrente delle intenzioni di Antonio e non esitò a mostrare subito il dissenso.
Il Marchese tuonò: “ come osa un borghese senza titolo fare un’affronto simile, i piacesse ‘nghianà ncopp a stu’ palazz, la mia piccola Lucietta è stata cresciuta con la balia, educata in collegio a Firenze, deve sposare un nobile! ”
Lucia aveva un carattere dolce ma volitivo, non tenne in considerazione le parole del padre e vinta dai suoi sentimenti continuava ad amare Antonio e ad incontrarsi di nascosto. Capite le intenzioni della figlia, il Marchese passò ai fatti; dette ordine di dipingere tutti i vetri delle finestre con la calce, le vietò di uscire, affacciarsi al balcone, infine la rinchiuse nella torre del palazzo come spesso accadeva a quei tempi. La ragazza rimase chiusa per mesi a pane ed acqua e la brigantina, sua fedelissima e affezionata nutrice, nel vederla ogni giorno più triste e deperita, non poté sopportare tanto dolore si che da quel giorno cambiò padrone e si mise al servizio dell’amore. Il giovane Antonio, sprezzante e audace, mise in atto allora un vero piano di ratto; con l’aiuto di un gruppo di cavalieri, armati fino ai denti, diedero assedio al palazzo in una notte tempestosa, tra tuoni, imprecazioni, fulmini e saette, tra colpi di baionette e bestemmie, riescono, grazie alla brigantina, a mettere una scala; Lucia scappa dalla torre e tutti agirono in nome dell’amore! ; “prest prest signurì facite ambress Don Antonio stà a lu p’ndone ca spett”. Quando Lucietta sali sul quel cavallo e abbracciò Antonio, il suo cuore fu scosso da un brivido e fiera, andò incontro al suo destino.
La vita scorreva serenamente tra la beatitudine dell’ordinario, Lucia si era sposata con Antonio, fu un matrimonio in grande stile , ne parlarono le cronache dell’epoca, e la storia d’amore aveva fatto il giro dei salotti letterari, in pieno romanticismo Lucia divenne quasi l’eroina di quel paese. Nella realtà viveva felicemente nella casa di suo marito, più piccola e meno fastosa della sua, ma tutto ciò non costituiva un problema per lei che si adattò subito ad uno stile di vita più semplice e sobrio.
Il sogno d’amore si incorniciò di un nuovo evento di gioia: rimase subito gravida e iniziò la dolce attesa. Dal giorno della fuga la famiglia di lei non voleva più saperne, i matrimoni per amore non avevano consenso e trasgredire l’ordine sociale era atto assai grave. Lucia fu diseredata pubblicamente, il Marchese sentenziò “ io non tengo più una figlia “ e nemmeno quando apprese la lieta notizia mostrò alcun segno di ravvedimento, restò fermo nella sua rigida posizione.
Lucia si rassegnò e se pur dispiaciuta riempiva le sue giornate di nuove aspettative “ vedrai” gli dicevano le cognate “ che quando nasce stò bambino se sarà maschio tuo padre ci ripensa”; molto spesso succedevano queste situazioni che una famiglia non consenziente lo diventava poi in seguito con la nascita di un figlio maschio e lei sperava di riconquistare il padre proprio in questo modo.
Una gravidanza a quei tempi non era priva di rischi ma tutto era andato per il meglio e giunta al nono mese ormai contava i giorni che trascorrevano sereni. Spesso si metteva seduta sul balconcino quando il sole girava e godeva di quella frescura pomeridiana ricamando il corredino. Antonio continuava a coltivare la passione per i cavalli e spesso andava a caccia, al ritorno dalle sue battute c’era sempre una festa e le donne della casa si affrettavano a cucinare i vari trofei, di solito tornava prima dell’imbrunire ma una sera tardò e Lucia fu pervasa da una spiacevole e sinistra sensazione.
Continuerò a ricamare così non ci penso avrà detto tra se e se. Ingannava l’attesa ma Antonio tardava e l’angoscia prendeva il sopravvento. Affacciata a quel balconcino, con lo sguardo rivolto all’angolo della strada aspettava timorosa, al calar della sera, i profili diventavano ombre, l’atmosfera divenne magicamente sinistra e presto il silenzio fu rotto dal trotto di cavalli ed urla di popolani che si dirigevano proprio sotto quel balcone. Lucia affacciata, cercava di far luce con una piccola lampada a petrolio, poi un urlo strozzato coprì tutta quella concitazione e per pochi attimi ci fu un silenzio mortale.
La scena che si presentava era appunto questa: Antonio caduto da cavallo e ferito alla testa era stato riportato a casa riverso prono sulla sella e sembrava veramente morto.
La povera moglie non ebbe il tempo di capire, il suo sogno era finito, infranto, sentì che tutto era così tragicamente accaduto e si lasciò andare, svenne dallo spavento, cadde e si addormentò.
Povera donna Lucia , misero don Antonio.
Un coro di comari facevano funesta nenia intorno ai corpi dei due giovani distesi sul letto l’uno vicino all’altra, in uno stato di morte apparente respiravano ancora. Tutta la notte furono vegliati, l’aria era pesante, impregnata dal profumo di cera, un flebile canto si udiva a tratti spezzato da toni più alti, a volte sembrava svanire nell’aria, erano le preghiere delle comari le cui parole ormai non si distinguevano più all’alba del nuovo giorno, colpite da stanchezza. Avevano fatto il possibile, tutto ciò che si poteva fare a quei tempi: i bagnoli di acqua fredda, il chinino, le preghiere, fu chiamato perfino il marchese ma non usci dal suo palazzo. Antonio e Lucia giacevano mano nella mano, pronti per quell’ultimo viaggio, in attesa che il destino decretasse il suo verdetto. Arrivò il primo raggio ad annunciare la vita attraverso una fessura, illuminò il viso ceruleo di Lucia, immobile e senza respiro, il sole la bacio sulla fronte e se ne andò. Il raggio continuò i saluti e su gli occhi di Antonio si scorse un battito di ciglia, si risvegliò attonito e atterrito, lo sguardo fisso nel vuoto, aveva fatto un sogno: tutta la notte insieme all’amata sposa avevano cavalcato per ripidi e scoscesi sentieri, lei sempre stretta , infine erano approdati ai bordi di un orizzonte che sfumava tra indaco e rosa, fu là che lei scese da cavallo e con passo fiero e deciso inizio ad allontanarsi, Antonio con il cuore spezzato non fece e non poteva nulla per fermarla, la vide scomparire come un punto lontano , divenne una stella che dall’alto illumino il suo viaggio di ritorno.
La realtà è dura da accettare, Antonio urlò a squarciagola fino a perdere la voce e di nuovo i sensi.
Quel bacio sulla bocca non risvegliò la principessa.
Il feretro attraversava le vie del paese, l’usanza voleva che si fermasse davanti al palazzo natio, e fu qui che la cattiveria diede sfogo al suo massimo splendore; il padre-padrone, con un cuore di pietra, affacciandosi al balcone per un ultimo saluto, diede ordine di suonare il pianoforte a festa. Si consumò così l’ultimo atto di questa straordinaria seppur drammatica storia d’amore, mentre un cantastorie ne faceva subito fiaba da raccontare per le piazze dei paesi limitrofi e strillando per raccogliere gente così cantava :” Chi è stat la ‘rruìn, è stata a zoppa da brigantina…u comme chiagne u comme chiagne, brigantina che chiagne a fa’”.
Antonio l’amava troppo, lo dimostrò il fatto che restò vedovo per circa 17 lunghi anni, non tagliò più la barba in segno di lutto, nè partecipo più ad una festa, un lutto così lungo fu davvero un evento straordinario per un bell’uomo come lui e a quei tempi.
Un giorno qualunque il suo sguardo si fermò su gli occhi verdi di Clafira, una bellissima ventenne che lui aveva visto crescere fin dai tempi in cui l’accompagnava a scuola per mano, l’aveva vista portare il velo a Lucia il giorno del loro matrimonio quando aveva solo 6 anni, forse era stato il suo piccolo angioletto custode che in tutti quegli anni, sapeva del suo grande amore, a quel cuore puro si era spesso confidato; la vita riserva sempre le sue sorprese e fu così che un giorno Antonio tagliò finalmente la sua lunga barba e con viso sereno e compiaciuto volle ritornare a vivere, a sorridere, ad amare ancora; vissero felici e contenti con sei figli e dodici nipoti, io sono l’ultima della lunga serie.
Ai miei tempi il mondo era ancora in bianco e nero le nonne mi insegnavano la vita intorno ad un braciere nelle fredde serate d’inverno, ho imparato che l’amore è la fiaba più bella da raccontare, non tutte le storie hanno un lieto fine, tutto passa, anche il dolore, dal male poi può venire il bene.
Ella Clafiria Grimaldi diritti riservati.
“La Vita sa attendere, lentamente ma inesorabilmente, riprende il suo ritmo e giunge il momento in cui ti costringe a seguirla nella danza…fortunatamente.
La morte non è imitabile, nè ci si può consumare cercando di annullare i simboli della gioia e abbracciando i colori degli abissi eterni. Le nenie della “veglia “, dolorose, si spensero lentamente al mattino e il sole irruppe sui corpi immobili esaltandone lo strazio. Un raggio ne lambì gli occhi, li sfiorò senza ostinazione. Da lì la speranza, annichilita prima nel silenzio, ripartì scandendo il Tempo, scivolando sul lungo velo della sfortunata sposa per depositare il seme del risveglio nelle mani della giovinetta che aveva retto il fluttuante strascico, come il dono di un filtro magico che spazzò via le nebbie di un dolore troppo a lungo alimentato. A condanna imperitura dell’ignoranza del cuore, per quanto blasonato, quel bimbo pronto a godere del sole, il cui battito cessò, forse, poco dopo quello della mamma”.