Manca poco alla fine di questo 2020. Un anno complicato, anomalo, che ha portato tutti noi a ragionare sull’importanza delle piccole cose, della salute senza dubbio, ma soprattutto degli affetti, del contatto. Il Natale al tempo del Coronavirus si presenta come un Natale fragile, inedito, capitato nel pieno di una pandemia che ci costringe a rimanere distanti e a cercare nuovi modi per trascorrere la festività. Le pur necessarie restrizioni a tutela della nostra salute non ci consentono di poter stare con gli altri, come vorremmo e come siamo soliti fare. Purtroppo, non possiamo ancora abbracciarci, darci una carezza o un bacio, gesti semplici ma importanti perché costituiscono e tessono l’insieme dei nostri incontri e della nostra amicizia sociale.
All’inizio della pandemia del Covid-19, con il primo lockdown, come sanpaolesi e come cittadini di questo mondo, abbiamo manifestato e cantato scambiandoci l’augurio andrà tutto bene. Abbiamo proclamato con canzoni, bandiere e striscioni la nostra fiducia e la nostra speranza. Ma ora, di fronte a questo secondo lockdown, tutto è cambiato, la pandemia e la paura collettiva hanno conferito al Natale una solennità sospesa, che rischia di farci precipitare nello scoramento. Eppure l’atmosfera c’è, le luci, gli addobbi, gli abeti decorati, ma è lo spirito a essere diverso. Questo Natale ci ha messo di fronte ai nostri limiti, alla nostra finitudine.
Tuttavia nulla ci impone di stare con le mani in mano: anzi! Sta a noi rendere questo momento speciale e trasformarlo in un’occasione di crescita e arricchimento. Possiamo dedicarci ad accrescere il nostro bagaglio culturale, dedicandoci alla lettura, alla musica, ai fumetti. Grazie alla tecnologia, possiamo fare tour virtuali in musei e luoghi di cultura. Possiamo approfittare per migliorare le nostre competenze lavorative. Oppure, possiamo approfittare per andare alla scoperta delle ricette tradizionali che hanno fatto grande la nostra tradizione enogastronomica e trasformare le nostre cucine in un’oasi di emozioni positive. Perché, come dicono gli esperti, focalizzare l’attenzione sulla preparazione di una ricetta aumenta la concentrazione e dà un senso di soddisfazione e benessere. In questo modo potremo insaporire le nostre giornate di festa e gustare appieno la nostra esistenza.
E allora cosa aspettiamo? Le feste natalizie sono il momento giusto per dedicarci alla cucina e per indagare sulla storia della nostre tradizioni. Anzi, con il permesso del Presidente Alfredo De Santo, vorrei lanciare un’iniziativa dedicata a tutte le cuoche e a tutti i cuochi sanpaolesi: inviate all’indirizzo email yvonnegrimaldi@libero.it la vostra ricetta preferita, corredata di foto entro il 7 gennaio 2021. Le prime dieci ricette pervenute saranno pubblicate sul sito desaleo.org nel mese di febbraio. Ricette tradizionali, prodotti locali, antichi e nuovi sapori rielaborati per dar vita a piatti capaci di raccontare la storia e l’identità del territorio sanpaolese. Facciamo della cucina un’occasione per restare vicini seppure distanti!
Per darvi tempo di cercare la ricetta preferita, vi racconto quella che ho fatto io su consiglio di Enza del bar Fragema: i cazz mmalèt. Il nome può lasciare perplessi, ma in realtà non stiamo parlando di argomenti scottanti, piuttosto di una ricetta tipica. Sono dolcetti di origine contadina che in passato venivano preparati per festeggiare la vendemmia. Il nome, secondo Gianni, deriva dalla variazione locale del termine italiano “mielato”, e dall’uso figurato del temine “cazzo” come qualcosa di nessuna importanza. Sarà vero? Non lo so, ma Gianni lo ha spiegato così bene che mi ha subito convinta. Si tratta di una preparazione semplice, semplicissima, caratterizzata dalla presenza di un ingrediente particolare: il mosto cotto in cui vengono cotte delle sottili strisce di pasta simili a delle tagliatelle. Come vedete, una semplice ricetta che racconta più di quello che sa dire.
L’odore intenso di questa dolce richiama alla memoria un’aria antica di quando per le strade di San Paolo di Civitate si respirava l’odore del vino nell’atto nobile della vinificazione. Perché i cazz mmalèt sono legati indissolubilmente a quella cultura enologica che trascina con sé usanze e atmosfere perdute di una pratica diffusa nella maggior parte delle famiglie sanpaolesi, dove le vigne e l’uva fanno parte ancora oggi del paesaggio e della cultura popolare in tutte le sue manifestazioni.
Questi dolcetti hanno segnato la mia infanzia e la vita dei sanpaolesi in una stagione di grande valore economico e simbolico. Un dolce della memoria caduto un po’ in disuso forse perché il nome un po’ scabroso spaventa il nostro palato moderno. E invece, una volta assaggiati, ci sia accorge che si tratta di una leccornia strepitosa che sa di gioia, di identità e di territorio. Sapienti mani hanno saputo custodire il suo piccolo segreto e tramandarlo di generazione in generazione. Da nonne, zie a nipoti e pronipoti, per tradizione e convenzione, questa ricetta non scritta ha sviluppato l’immaginazione e la fantasia, ha permesso di arricchire la ricetta ogni volta con qualcosa di nuovo: cioccolato, mandorle, cannella. Come vedete, una ricetta essenziale che racconta più di quello che sa dire. Una ricetta da leggere come un intreccio di ingredienti, storia, cultura e tradizione del territorio sanpaolese e dei suoi abitanti che in questo Natale diventa custode di profumi e sapori autentici.
Ora tocca a voi! Divertitevi a inviarmi le vostre ricette!
Vi saluto augurandovi un prospero 2021, pieno di concordia, gentilezza e umanità.