Il 25 aprile è entrato con forza nella mia vita fin dall’adolescenza, quando mio nonno, Vincenzo Grimaldi, personalità politica e sociale che ha caratterizzato per molti anni la comunità sanpaolese, saliva sul palco per il suo discorso celebrativo. Ricordo le sue parole, come le organizzava nella frase, il modo semplice con cui spiegava ai suoi compaesani i valori di giustizia, libertà, uguaglianza e fraternità. Il 25 aprile, diceva, è la festa più sacra del nostro calendario civile, quella senza la quale le altre o non esisterebbero o non avrebbero alcun senso.
Parto da questo ricordo familiare per spiegare il mio rapporto speciale con questa giornata essenziale per la storia del nostro Paese e come sia triste per me non poterla festeggiare come essa meriterebbe.
Quest’anno, a causa dell’emergenza Coronavirus, vivrò (come tutti voi) la giornata della Liberazione da “reclusa”. È una stravaganza dell’imponderabile ironia della storia: il 75° anniversario della Liberazione sarà ricordato come la giornata dell’isolamento nazionale, una tragica mescolanza di solitudine, solidarietà e speranza. A San Paolo, per ordinanza prefettizia, non ci sarà la consueta manifestazione popolare e la piazza non si riempirà di bandiere. Nessuno avrebbe potuto prevederlo all’inizio del 2020. Un virus ha diviso le persone, causato lutti, comprimendo le nostre libertà personali.
Nel momento in cui sto scrivendo queste brevi considerazioni non so nemmeno se prossimamente ci potremo ritrovare in piazza per un caffè o se troveremo altre forme per ricordare il grande sacrificio di donne e uomini che hanno lottato per i valori democratici. Le misure preventive disposte dal Governo non ci permettono di riunirci come negli anni passati, come avremmo voluto e come dovrebbe essere. Niente cerimonie, nessun corteo, nessuna stretta di mano. La pandemia ci costringe a celebrare questo 25 aprile isolati nelle nostre case. Ma non per questo deve rimanere sotto silenzio. Perché è importate che ci sia, nonostante tutto, un momento di ricordo autentico della data che ha segnato l’inizio della vita democratica italiana; è necessario per conservarne memoria. Ci sono troppe dimenticanze, distorsioni interpretative, contraffazioni. Se perdiamo la memoria storica perdiamo la memoria di noi stessi. E senza memoria storica una comunità rischia di perdere e smarrire il significato e il senso profondo della propria identità culturale e civile.
La condizione straordinaria di vita che ognuno di noi sta vivendo in questo 25 aprile non deve far sfiorire la volontà e l’abitudine al confronto e allo scambio reciproco. Anzi, deve spingerci ad andare avanti, a guardare al futuro con speranza e coraggio, per ricostruire un mondo più giusto, più equo, più sostenibile. La solidarietà, la giustizia sociale, la democrazia, la lotta contro ogni sopraffazione sono le parole d’ordine su cui, oggi come ieri, siamo chiamati a rispondere. Ognuno di noi deve ritrovare dentro di sé lo spirito di quelle donne e quegli uomini, allora poco più che ragazze e ragazzi, che misero in gioco le loro vite per regalarci la nostra Repubblica democratica. Tocca a noi ora farci portatori sani di quei valori di libertà, giustizia e coesione sociale, valori morali e civili di portata universale. Dobbiamo riempire di calore i nostri cuori, guardando con speranza e con fiducia all’avvenire, perché il 25 Aprile sia ora come allora un giorno di autentica rinascita.
Un saluto resistente e resiliente a tutti!